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RAGGI COSMICI, VENTO SOLARE, NEUTRONI E NUBI STRATOSFERICHE

12 aprile 2025 di
RAGGI COSMICI, VENTO SOLARE, NEUTRONI E NUBI STRATOSFERICHE
Daniele Mazza

I raggi cosmici, o astroparticelle, sono costituiti da gruppi di particelle cariche ad altissima energia (rappresentati principalmente da protoni, elettroni o nuclei atomici) che si muovono nello spazio a una velocità prossima a quella della luce.

Essi vennero scoperti da Victor Hess nel 1912 in esperimenti con palloni aerostatici, e per questo gli fu conferito il Premio Nobel per la fisica nel 1936.

Di solito provengono dalla nostra Galassia, dove sono generati da eventi cosmici ad alta energia, come supernovae, pulsar - stelle di neutroni – magnetar e altri oggetti come buchi neri, quasars, AGN (Active Galaxy Nuclei).

Restando nel nostro vicinato, il Sole durante fasi di elevata attività può emettere particelle ad alta energia che raggiungono la Terra. Per differenziare le particelle solari da quelle provenienti dalla Galassia o extra-galattiche si utilizzano le sigle SCR (Solar Cosmic Rays) e GCR (Galactic Cosmic Rays) rispettivamente.

I raggi cosmici si differenziano dal vento solare non tanto per la composizione ma per l’energia delle particelle stesse, che può raggiungere anche i 20 GeV e oltre. Nel vento solare l’energia delle particelle cariche è compresa invece da 1eV a 1000eV (1 KeV). La velocità delle particelle è quindi minore ed il vento solare viene deflesso dal campo magnetico terrestre.


Fig.1 Deflessione del vento solare (linee gialle) da parte del campo magnetico terrestre (in ciano). La barriera magnetica terrestre è  in viola (non in scala).






All'impatto con l'atmosfera terrestre, i raggi cosmici producono sciami di particelle secondarie, alcune delle quali riescono a raggiungere la superficie terrestre. Questo avviene per la collisione tra le particelle cosmiche (chiamate primarie) e gli atomi dell’atmosfera terrestre (azoto e ossigeno) che causa una grande esplosione energetica e produzione di numerose altre particelle (chiamate secondarie), di diversa natura, tra cui compaiono protoni, neutroni, muoni, pioni, elettroni e fotoni gamma.

La collisione del fascio primario dei raggi cosmici avviene prevalentemente ad un’altitudine tra i 20.000 e i 30.000 m e quindi esso si indebolisce progressivamente al diminuire della quota. Il flusso di particelle secondarie in atmosfera si propaga dall’alto verso il basso a cono, come in una doccia. La maggiore quantità di particelle ionizzanti e quindi di radioattività si trova tra 11.000-16.000 metri, proprio nella fascia quota seguita dai normali voli aerei commerciali. L’atmosfera per nostra fortuna assorbe la maggior parte di questa radiazione cosmica e al suolo (livello del mare) la composizione principale di particelle è data dai muoni, elettroni e da poche particelle pesanti tra cui i neutroni e protoni.  I muoni negativi (μ-) possono essere misurati in un normale contatore Geiger a scintillazione, essendo particelle cariche, ma risulta difficile distinguerli dalla radioattività di fondo. Il modo più preciso per conteggiare i raggi cosmici è usare un rivelatore di neutroni, prodotti nello sciame di cui sopra. Essi devono essere rallentati da un moderatore, quindi colpire nuclei di elementi pesanti, come il piombo. Per effetto di queste collisioni, il nucleo del piombo passa in uno stato eccitato e riemette alcuni neutroni termici (a bassa energia) che possono essere infine conteggiati nella camera di misura. Il conteggio è possibile per la reazione dei neutroni con un gas che può essere He-3 o B-10F3, il quale emette particelle cariche per reazione del nucleo con un neutrone e relativo decadimento.

I misuratori di neutroni sono sensibili ai raggi cosmici che penetrano l'atmosfera terrestre con energie comprese tra circa 0,5 e 20 GeV, ovvero in un intervallo di energia che non può essere misurato con rivelatori spaziali con la stessa semplicità, economicità e accuratezza statistica.


Fig.2 Conteggi mensili dei raggi cosmici ( mediante misura dei neutroni secondari). Osservatorio di Oulu, Finlandia (https://cosmicrays.oulu.fi/).


Il sito di elezione per chi scrive è il centro di Oulu, cittadina universitaria del nord finlandese, che raccoglie dati di flussi neutronici affidabili e corretti per la pressione barometrica, dal 1964. L'analisi di Fourier (in rosso, fig.2) indica una periodicità perfettamente coincidente con il ciclo solare undecennale (o di Schwabe), ma in antifase. Ovvero un elevata attività solare devia maggiormente la traiettoria dei raggi cosmici, almeno dei meno energetici, in modo che essi diventino più rarefatti sulla superficie terrestre. Un effetto simile ma non identico fu già ipotizzato da Scott E. Forbush, che studiò i raggi cosmici negli anni '30 e '40.

L'effetto Forbush (Forbush decrease) è una rapida diminuzione dell'intensità dei raggi cosmici galattici osservata a seguito di un'espulsione di massa coronale (CME). Si verifica a causa del campo magnetico del vento solare che allontana dalla Terra parte dei raggi cosmici galattici.


Fig.3 Stretta correlazione tra le macchie solari, il flusso radio a 10.7 GHz proveniente dal sole (lasp.colorado.edu/lisird/data/penticton_radio_flux) ed il flusso di neutroni.


Effetti più a lungo termine della modulazione del flusso di raggi cosmici da parte dell'attività solare furono poi ripresi negli anni '90 del secolo scorso dal fisico danese Henrick Svensmark. L'effetto Svensmark si nota facilmente dalla figura 3, dove i cicli solari undecennali sono documentati dal conteggio delle macchie solari in verde e dal flusso radio solare a 10.7 GHz. Esso viene misurato da radiotelescopi, anche amatoriali, ed è usato per monitorare l'attività solare, essendo in perfetta concordanza di fase con il conteggio delle macchie.


Fig.4 Evoluzione delle macchie solari nel ciclo 25, in confronto con il ciclo 24 e 23 (sidc.oma.be/silso/DATA/SN_m_tot_V2.0.txt)

Fig.5 Evoluzione del flusso solare a 10.7 GHz nel ciclo 25, in confronto con il ciclo 24 e 23.


Le figure 4 e 5 confrontano l'evoluzione dei tre ultimi cicli solari, dedotti dai dati di letteratura indicati, e trattati con metodiche di deconvoluzione per individuare meglio i suddetti cicli (per info->mazzad50@gmail.com)

 

L'effetto Svensmark e quindi la sequenza causale di come i cicli di attività solare influenzino il clima terrestre è infine riassunta nell'ultima figura 6. 

Il punto critico è di natura chimica e coinvolge gli aerosol di acido solforico acquoso, che possiamo considerare come minutissime goccioline disperse ad alta quota, che vengono attivati dalle radiazioni ionizzanti (raggi cosmici). Esse si decompongono e generano ioni (positivi H3O+ e negativi HSO4-) idratatati di dimensioni nanometriche (1-2 nm). La condensazione del vapor acqueo su queste particelle cariche è molto veloce e conduce in breve ai CCN (Cloud Condensation Nuclei) di circa 50 nm. Di qui in avanti si possono per coalescenza formare le prime goccioline che costituiranno le nubi, di circa 15 micrometri. Una ulteriore coalescenza potrà anche portare alla pioggia.


Fig.6 Riassunto concettuale del meccanismo fisico che collega l'attività solare alla formazione di nubi e quindi al cambiamento climatico : (a) un sole più attivo genera (b) un vento solare più energico che devia un maggior numero (c) di raggi cosmici per cui si ha una minore ionizzazione atmosferica, una minore nucleazione e formazione di centri di condensazione (Cloud Condensation Number - CCN) , nubi con meno goccioline, meno riflettività (albedo) solare e quindi una superficie terrestre più calda.

(da "FORCE MAJEURE The Sun’s Role in Climate Change", Henrik Svensmark, The Global Warming Policy Foundation, GWPF Report 33).


L'influenza della condensazione del vapor acqueo dall'atmosfera satura ad alta quota (e basse temperature) che porta alla formazione delle nubi è quindi una catena di fenomeni complessi, ancora in fase di studio. Le implicazioni sul clima terrestre di questi fenomeni del tutto naturali e NON antropogenici è quindi di vitale importanza.